Sappiamo capire quand'è che facciamo del male ad una persona senza alzare un dito? Fosse così, non si parlerebbe tanto di "hate speech"...
Non solo i gesti, ma anche le parole sbagliate possono far male. Frasi inopportune, termini offensivi, espressioni irrispettose, domande provocatorie... nel nostro parlare ci sono infiniti modi per colpire il prossimo, e non solo nell'immediato. Si può ferire attraverso discorsi verbali, scritti o anche online. Il linguaggio dell'odio provoca danni inimmaginabili, che possono lasciare un segno indelebile nell'animo umano e provocare, a loro volta, altri danni. Ne siamo consapevoli? Sappiamo capire quando fermarci per evitare di ferire il prossimo?
Davanti ad un'offesa diretta – che sia un insulto, una provocazione, un'umiliazione, un'insolenza – accusiamo il colpo ma abbiamo comunque le possibilità di reagire. Una replica immediata può contrastare o, alle brutte, restituire l'offesa. In questi casi la reazione, anche solo verbale, ha il duplice effetto di lenire il dolore e di far sì che questo non venga incamerato. Un insulto di gruppo ha invece un'altra valenza. Mirato a denigrare, intimidire o escludere le persone in base a caratteristiche come etnia, religione, orientamento sessuale, disabilità, genere, ecc. può causare danni e avere conseguenze molto più devastanti. Davanti al branco non sempre è facile né possibile la difesa, senza la quale, inevitabilmente, al danno dell'insulto si aggiungono le conseguenze, psicologiche e sociali.
Il potere del branco si amplifica notevolmente quando si combina con l'anonimato, reso possibile dall'utilizzo di strumenti di comunicazione online come i social network o altre piattaforme digitali. L'anonimato conferisce a chi lo esercita un senso di protezione che può amplificare ogni tipo di comportamento negativo, e in modo particolare l'insulto, la discriminazione e il linguaggio d'odio. Quando una persona sente di non poter essere identificata, tende infatti a sentirsi più forte, disinibita, meno responsabile, svincolata dalle conseguenze delle proprie azioni, comportandosi in un modo che nella vita reale o sotto la propria vera identità non sarebbe possibile.
Insultare online è diventato un fenomeno di portata così grande da meritare definizioni particolari. E' stato definito hate speech quel linguaggio pieno di espressioni d’intolleranza rivolte contro delle minoranze, attaccate solo perché sono "diverse", per estrazione sociale, colore della pelle, credo religioso, orientamento sessuale e via dicendo. L'ambiente online permette al branco di organizzarsi rapidamente e di agire con una forza che nella vita reale non sarebbe altrettanto facile da esercitare, con l'aiuto, se così si può dire, dell'algoritmo dei social media, che amplifica i contenuti che hanno maggiore visibilità come quelli estremi o divisivi.
Per arginare il problema le piattaforme hanno implementato misure per ridurre al massimo la possibilità di agire senza essere identificati, che vanno dalla moderazione dei contenuti alla segnalazione di comportamenti abusivi all'applicazione di restrizioni più severe per l'uso anonimo delle piattaforme. Da paese a paese poi sono state formulate leggi e normative per prevenire e punire il discorso d'odio, soprattutto quando minaccia la sicurezza o i diritti degli individui. Per promuovere una cultura di responsabilità e di dialogo serve un impegno collettivo di governi, piattaforme tecnologiche e società civile.
Per contrastare l’hate speech servono strategie legali, educative e sociali. Occorre una più ampia educazione digitale, tramite programmi nelle scuole e nelle comunità ad esempio, che consentano una maggiore consapevolezza sui pericoli del comportamento disinibito online e delle fake news, sulle responsabilità e sul rispetto reciproco. L'educazione va offerta anche a giornalisti, educatori e professionisti del settore tecnologico, affinché imparino a riconoscere e gestire il linguaggio d'odio. Non va dimenticata la necessità di studiare, analizzare e monitorare continuamente tendenze e manifestazioni d'odio – anche condividendo esperienze e soluzioni efficaci a livello internazionale - per adattare le risposte politiche in base all’evoluzione del fenomeno.
Ma se nella società ci fossero spazi di confronto e dialogo aperto, dove discutere rispettosamente le differenze, la possibilità di conflitti alimentati dall’odio sarebbe di certo minore. Vale la pena quindi di promuovere, a scuola come in famiglia, la responsabilità individuale. Come si fa? Insegnando a bambini e ragazzi il valore del rispetto, dell'empatia e delle conseguenze delle proprie azioni sugli altri; dando loro dei modelli, familiari e pubblici, eticamente positivi; insegnando il rispetto delle leggi e delle regole; promuovendo il comportamento rispettoso online come offline e, infine, incoraggiando il miglioramento personale.