Qualche mese fa vi abbiamo presentato la BCM Families Foundation (BCMFF), che si occupa del Monocromatismo dei Coni Blu (BCM), una malattia genetica della retina dell’occhio, ancora poco conosciuta. Per sapere di cosa si tratta potete leggere anche l'intervista alla Presidente della fondazione, Renata Sarno. Oggi, per dar seguito alla presentazione dei progetti di cui ci occupiamo e finanziamo, siamo lieti di condividere con voi i risultati di uno recente studio che BCMFF sta portando avanti con l'Università della Pennsylvania.
La nostra organizzazione apprezza sinceramente l’impegno della Fondazione nell’aggiornarci con periodicità, grande trasparenza e chiarezza. Questo riconoscimento non solo ci motiva a continuare il nostro lavoro con dedizione, ma rafforza anche la nostra collaborazione nel perseguimento di obiettivi comuni di sostenibilità e responsabilità sociale. Vediamo di cosa si tratta.
La BCMFF lavora ha due progetti da noi co-finanziati:
Per quest’ultimo progetto ci sono delle importanti novità perché sono stati appena pubblicati i risultati dello studio da noi finanziato. Riassumiamo quanto riportato nell'articolo “Evaluation of Retinal Structure and Visual Function in Blue Cone Monochromacy to Develop Clinical Endpoints for L-opsin Gene Therapy”, pubblicato il 2 ottobre sulla rivista International Journal of Visual Sciences. L’articolo raccoglie i risultati di 15 anni di studi clinici, effettuati su pazienti affetti dal Monocromatismo dei Coni Blu.
Aleman e Cideciyan stanno lavorando a diversi trials clinici di terapia genica per la retina e presto potrebbero effettuare il trial clinico per la terapia genica della BCM. Sono state visitate in questi anni diverse decine di pazienti con la BCM con le principali mutazioni causative. Lo scopo è stato quello di concentrare i dati sulle caratteristiche cliniche di questa malattia rara in un unico centro clinico e, in base a tali dati, progettare il trial clinico per la somministrazione sull’uomo della terapia genica. Si sono così ottenuti gli elementi fondamentali di un trial clinico: la definizione dei cosiddetti “endpoints” e il protocollo dello studio. Gli endpoints sono valori di uscita che rispondono alla domanda: come misuriamo i cambiamenti che avvengono tra prima e dopo la somministrazione della terapia genica? Ad esempio gli individui vedranno i colori dopo la terapia genica? La loro acuità visiva migliorerà, e nel caso di quanto? Il protocollo raccoglie invece tutti i criteri di selezione dei pazienti per il trial clinico, i dosaggi delle terapie e le misure da prendere per garantire la sicurezza e per verificare l’efficacia.
I dottori dell’Università della Pennsylvania hanno sviluppato una serie di endpoints studiati proprio per la BCM, come ad esempio le griglie colorate giallo su bianco e rosso su nero per misurare l’acuità visiva cromatica e i test del colore computerizzati.
Nella figura si vedono degli stimoli colorati su uno schermo che vengono resi via via più difficili da vedere e che serviranno come test della visione del colore, per capire se ci sono dei miglioramenti e se sono progressivi. Il test è basato su un test del colore sviluppato dal Prof. John L. Barbur negli UK, un esperto della visione del colore, che è stato adattato alla basa acuità visiva degli individui con BCM.
Nell’occhio umano vi sono diversi fotorecettori, bastoncelli per la visione notturna e periferica e tre tipi di coni per la visione diurna e del colore, blu, verde e rosso. Nella BCM i coni verde e rosso non funzionano correttamente e reinserendo tramite la terapia genica la proteina opsina entro i coni rossi ci si aspetta un incremento della acuità visiva e la visione del colore nello spettro dei rossi. Ma per capire quali fotorecettori sono stati attivati dalla terapia genica, in che posizione della retina sono, se ad esempio sono nella parte più sensibile la fovea, oppure sono extra-foveali, è necessario avere delle misure che permettano di inviare un segnale luminoso di un particolare colore, localizzato in un punto della retina, e registrare se il paziente ha visto quel segnale. Aleman e Cideciyan hanno in tal caso previsto l’uso di macchine che effettuano una microperimetria della retina.
Infine, grazie ad una collaborazione con il Dr. Carroll del Medical College of Wisconsin, è stato possibile usare delle sofisticate macchine, quelle per l’Ottica Adattativa (OA), che permettono di fotografare i singoli coni della retina e di capire quali coni si attivano nella percezione della luce.